Premiato con il riconoscimento per la miglior regia all’ultimo Festival di Cannes e scelto come rappresentante del Portogallo per gli Oscar, “Grand Tour”, il nuovo lavoro del visionario regista Miguel Gomes, arriverà nelle sale il 5 dicembre, distribuito da Lucky Red.
Questa pellicola, si presenta come un’opera complessa e affascinante, capace di mescolare elementi di avventura letteraria, colonialismo e un profondo amore per il cinema e non è certo una visione per gli amanti delle narrazioni lineari, ma offre invece un viaggio visivo che cattura l’attenzione con le sue immagini evocative.
“Grand Tour” non si limita a raccontare una storia, ma invita lo spettatore a imbarcarsi in un’esperienza immersiva. Il film propone un montaggio audace e stratificato, alternando diverse tracce narrative che intrecciano realtà e finzione. In questo senso, la pellicola rappresenta un vero e proprio diario di viaggio che oscilla tra il documentario e la narrazione cinematografica.
La pellicola segue le avventure di Edward Abbot, interpretato da Gonçalo Waddington, un giovane inglese legato all’era del colonialismo, che decide di partire per un lungo viaggio attraverso l’Asia sudorientale. Da un incontro mancato con la fidanzata Molly, impersonata da Cista Alfaiate, Edward si ritrova a esplorare luoghi come Saigon, Manila e Tibet, mentre Gomes stesso intraprende un viaggio simile nel 2020, catturando immagini di giungle, villaggi e metropoli.
Le immagini di “Grand Tour” sono accompagnate da un’accurata scelta musicale, con interventi che spaziano da opere classiche come Strauss fino a sonorità più contemporanee. La colonna sonora diventa quindi un elemento chiave che unisce le diverse sezioni del film, mentre il regista mantiene un approccio audace e anarchico, trasgredendo le convenzioni narrative tradizionali.
Inoltre, la narrazione si spezza in tre filoni diversi, creando una costante conflittualità che tiene gli spettatori sulle spine. La seconda parte del film approfondisce la ricerca di Molly, che si mette sulle tracce di Edward, mentre i personaggi secondari, caricaturali e bizzarri, sembrano tratti da romanzi di Salgari e Conrad.
Il film riesce a trattare temi complessi come il colonialismo e le sue conseguenze in modo sottile, senza scivolare in facili moralismi. La visione di Grand Tour richiede attenzione e pazienza, qualità che non sempre il pubblico moderno possiede. Questo è uno dei motivi per cui l’opera di Gomes può risultare difficile da apprezzare al di fuori di contesti festivalieri.
Gomes non cerca di rendere la sua opera accessibile; piuttosto, si dirige verso un mix di lingue, odori e colori, giocando con le aspettative del pubblico. Le immagini, prevalentemente in bianco e nero e curate da un team di cinematografi tra cui Sayombhu Mukdeeprom, collaboratore di Luca Guadagnino, si ispirano alla grande tradizione del cinema hollywoodiano degli anni ’40, regalando una visione nostalgica e innovativa al tempo stesso.
In conclusione, Grand Tour è molto più di un semplice film: è una riflessione sulla nostra percezione del mondo e delle sue contraddizioni. Attraverso una narrazione non lineare e un’estetica ricercata, Gomes ci invita a considerare la complessità della storia, della cultura e delle relazioni umane, usando il cinema come un potente strumento di esplorazione e comprensione.