
Il nuovo film di Richard Linklater, intitolato Blue Moon, si presenta come un’opera che trasmette una profonda riflessione sulla vita e sulle relazioni, portando il suo talento a Berlino 75. Questa pellicola, che è il venticinquesimo lavoro nella carriera del regista, si svolge in un’unica notte, quasi in tempo reale, grazie a una narrazione che ricorda un’opera teatrale.
Anche in “Blue Moon”, Richard Linklater dimostra una profonda fiducia nel cinema e nella sua capacità di creare miti. Attingendo ai codici del teatro, il regista americano conferma la sua convinzione che il cinema possa ancora essere un mezzo potente per raccontare storie universali. “The world is a stage”, recita una delle canzoni più iconiche del teatro americano, e sembra essere proprio questa l’idea alla base del venticinquesimo film di Linklater.
Ambientato interamente in una notte e in un unico luogo (con l’eccezione di un breve incipit), “Blue Moon” si svolge “in diretta”, in un set che ricorda il noir e che diventa il tempio della finzione cinematografica. Per Linklater, se il palcoscenico è il luogo in cui gli artisti esprimono gioie, dolori e tormenti, è proprio attraverso l’illusione cinematografica che queste emozioni possono essere amplificate.
Il film è ambientato al bar Sardi, durante la serata del 31 marzo 1943, in occasione della première del musical “Oklahoma!”, un’opera destinata a entrare nella leggenda. Questo momento segna una tappa cruciale nella carriera di Richard Rodgers, figura emblematica dello showbiz americano, primo artista a raggiungere l’EGOT (avendo vinto Emmy, Grammy, Oscar e Tony) e uno dei due unici detentori del PEGOT, grazie al Premio Pulitzer vinto proprio per “Oklahoma!”, scritto in collaborazione con il paroliere Oscar Hammerstein II. Tuttavia, Rodgers non è il protagonista di “Blue Moon”. Al centro della storia c’è Lorenz Hart, il leggendario paroliere che, insieme a Rodgers, ha creato canzoni indimenticabili come “My Funny Valentine”, “The Lady Is a Tramp” e, naturalmente, “Blue Moon”. Linklater dedica particolare attenzione a Hart, ritraendolo come una figura emotivamente fragile, circondata da un’aura di malinconia e disillusione.
“Blue Moon” è un film di fantasmi, non solo perché sin dalle prime scene viene annunciata la morte del protagonista, ma perché tutto ciò che vediamo potrebbe essere l’ultimo ricordo di Hart prima di perdere conoscenza. Il film è intriso di un senso di fine, di un’epoca che sta per concludersi. Hart, alcolizzato e depresso, è un reduce di una stagione al tramonto, superato dal suo stesso partner, Rodgers, che sa di doverlo lasciare indietro per poter progredire. Linklater gioca con i contrasti tra teatro e cinema, utilizzando il linguaggio cinematografico per esaltare momenti di grande intensità emotiva, come il commovente campo e controcampo nel finale, dove una tendina fa da sipario a un’ultima, disperata ricerca di riconciliazione.
I personaggi di “Blue Moon” sono tutti fantasmi: artisti ridotti a caricature, soldati in congedo che suonano il piano mentre la guerra infuria lontana, fattorini ingannati da promesse vuote, barman che ascoltano silenziosi. È una commedia cinefila, che richiama lo stile di Ernst Lubitsch, ma con un senso di fine della festa che permea ogni scena. Con un budget contenuto, Linklater crea un’opera stratificata, ricca di malinconia e struggimento, in cui spicca la performance di Ethan Hawke, alla sua nona collaborazione con il regista. Hawke, completamente trasfigurato nel dolore e nella nostalgia, incarna il genio tormentato di Hart, un uomo che, come recita la canzone “Blue Moon”, si ritrova “senza un sogno nel cuore, senza un amore proprio”.
Supportato da un cast eccezionale, tra cui Margaret Qualley, Bobby Cannavale e Andrew Scott, Linklater offre uno sguardo intimo e commovente su un momento cruciale della storia del teatro e della musica americana, confermandosi ancora una volta come uno dei registi più visionari del cinema contemporaneo.