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“Back to Black”: la recensione del biopic su Amy Winehouse

Redazione 2 Dicembre 2024
Back To Black

“Back To Black” (2024), diretto da Sam Taylor-Johnson e scritto da Matt Greenhalgh, si presenta come un biopic avvincente che esplora i momenti più bui e tragici della vita di una delle più straordinarie artiste contemporanee: Amy Winehouse. Il film, interpretato da Marisa Abela, inizia con l’uscita del primo album di Amy, Frank, quando la giovane cantante aveva appena 18 anni. La narrazione si sviluppa attraverso la sua relazione tumultuosa con l’ex marito Blake Fielder-Civil (interpretato da Jack O’Connell) e la successiva discesa nel vortice delle dipendenze, culminando nella sua tragica scomparsa.

Nonostante il potenziale della storia, il film affronta gli eventi in modo superficiale, mancando di dare giustizia alla complessità della vita di Amy. Il compito che Marisa Abela ha dovuto affrontare per interpretare questo ruolo iconico non è stato facile. Infatti, Amy Winehouse è stata una figura unica nel panorama musicale, sia per la sua personalità affascinante sia per il suo inconfondibile timbro vocale. Tuttavia, la performance di Abela non riesce a catturare appieno l’essenza della cantautrice, risultando in alcune parti esagerata e caricaturale.

Il film riesce a ricreare l’immagine di Amy con il trucco caratteristico, i look da pin-up e la sua iconica pettinatura in stile anni Sessanta, ma manca di una vera profondità emotiva. La mimica di Abela sembra spesso eccessiva, così come il suo accento londinese, riflettendo il cliché dell’artista tormentata. Elementi fondamentali come la passione viscerale per la musica, le sue lotte interne e il tormento amoroso emergono solo superficialmente, riducendo il personaggio a una rappresentazione unidimensionale.

Le scelte registiche di Taylor-Johnson e la scrittura di Greenhalgh contribuiscono a creare un ritratto semplificato di Amy Winehouse, lasciando poco spazio a momenti di vera introspezione. Ciò non solo influisce sulla percezione dell’artista, ma anche sul modo in cui vengono rappresentati i personaggi maschili intorno a lei. Ad esempio, il padre Mitch Winehouse (interpretato da Eddie Marsan) viene presentato come una figura di supporto e amorevolezza, mentre nella realtà era spesso parte della macchina commerciale che ha sfruttato la vulnerabilità di Amy.

Inoltre, il film sembra minimizzare l’impatto negativo avuto da Blake Fielder-Civil sulla vita di Amy. Viene mostrato quasi come una vittima della situazione, perdendo così la gravità della sua influenza distruttiva, che ha portato la cantante verso la dipendenza e la sofferenza. Un altro aspetto cruciale che il film affronta, ma non con la dovuta importanza, è l’ossessione dei tabloid britannici nei confronti della vita di Amy Winehouse.

La cantante è stata frequentemente oggetto di derisione e umiliazione da parte della stampa, che ha assistito passivamente al suo crollo fisico ed emotivo. Nonostante le scene affollate di paparazzi che circondano la sua vita quotidiana, rimangono sempre sullo sfondo senza influenzare realmente la narrazione. Questo è un difetto comune a molti biopic recenti, alcuni dei quali riescono a raccontare meglio la complessità dei loro soggetti.

Raccontare la vita di un artista complicato come Amy Winehouse comporta inevitabilmente delle semplificazioni. Tuttavia, queste non dovrebbero svuotare completamente la personalità dell’artista né oscurare gli elementi essenziali per comprendere la sua storia. La morte prematura di Amy a soli 27 anni rende ancora più urgente la necessità di un racconto profondo e rispettoso della sua vita e carriera.

Con Back To Black, ci si aspettava una nuova prospettiva sulla vita di Amy Winehouse, un’opportunità per rendere omaggio a una cantante che ha influenzato profondamente il panorama musicale. Sfortunatamente, il film si perde in una narrazione priva di anima, omettendo aspetti cruciali della sua vita e personalità.

Se desiderate una visione più autentica e penetrante, vi consigliamo di guardare il documentario Amy, the girl behind the name (2015), diretto dal premio Oscar Asif Kapadia, che esplora la vita dell’artista in modo più profondo e significativo.

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